A un paio di mesi dall’uscita dello straordinario esordio
con
“Per tutti i giovani tristi” intervistiamo i
Giona per sentire come stanno. Il gentilissimo Alessio
risponde alle nostre domande.
1. Ciao
Alessio, presenta ai lettori di 7pollici Giona, la sua nascita, la sua anima e
la sua evoluzione.
E’ accaduto tutto con molta
naturalezza, quasi per caso. Finito L’Amo non avevo più molta voglia di
suonare, di stare in mezzo e m’ero davvero deciso a smettere a tal punto da
chiudere tutte le chitarre nell’armadio. Poi, un giorno, mi è capitato di
ritrovarmi con le chitarre in giro ed in una quarantina di minuti mi sono
scappate dalle mani Squassanti e Pendere e sempre in virtù del proposito
iniziale, deciso a non suonare, soprattutto a non voler suonare con nessuno, le
registrai solo col microfonino del Mac. Continuai così per un mesetto circa ed
avevo le dodici canzoni del disco che immaginavo di lasciar morire in qualche
hard-disk esterno, alla stregua di quello che Salinger fece con i suoi scritti,
ma è qui che subentra il fattore Luca Benni. Non ricordo bene, ma credo di
avergli linkato il soundcloud con tutte queste demo e lui ha cominciato a dirmi
che dovevo fare, registrare, portarlo avanti, che era un discone e che dovevo
suonarle alla festa per i dieci anni di To Lose La Track a Napoli ed è qui
scatta il fattore Michele Leo. Mentre ci fumavamo la prima sigaretta della
serata, ascoltando gli esiti delle nuove registrazioni, dicendogli del fatto
che Luca ci teneva che suonassi quelle canzoni, Michele disse che lui poteva
suonare il basso e che potevamo chiedere a Daniele di suonare i fusti. E così
fu. Facemmo quattro prove e suonammo alla festa di To Lose La Track, poi da lì
non ci siamo fermati. Forse non ci siamo accorti che la festa è finita.
Menzione la merita anche Ivan
Tonelli di Stop Records perché anche lui è stato un fattore bello grosso da
quando venne a suonare a Napoli con i Cosmetic e dopo il check gli feci sentire
le demo. Si gasò tantissimo e da quel giorno Ivan c’è sempre e gli vogliamo
bene nonostante tifi per brutte squadre.
2. Chi sono “tutti i giovani tristi” da cui prende spunto
il titolo del tuo disco?
Il titolo è un debito che avevo
con Fitzgerald e con quegli amori che s’attorcigliano su stessi, in cui ci
credi, crescono e poi implodono, sperdendosi nell’hangover del giorno dopo.
Diciamo che il disco è un invito a godersi il momento, tutto finisce e tutti ne
siamo consapevoli ed è nella consapevolezza della fine che dovremmo trarre la
gioia per viverci il momento, riconoscendolo, appunto, come momentaneo,
effimero e soprattutto leggero.
Chiamarlo così è anche per
ricordarmi d’essere più leggero con le cose e le persone, anche ora che giovane
non lo sono più. Magari a maggior ragione ora che giovane non lo sono più e comunque
il disco tratta di un amore felice. Felice e basta.
3. State girando parecchio, cosa ci dobbiamo
aspettare dal vostro live?
Un mucchio di birrette in giro,
un po’ di dischi della distro, caramelle per la gola sparse ovunque. Diciamo
che il live è più “picchiato” del disco.
4. Il mio gruppo preferito in assoluto sono i Ramones,
quindi la domanda nasce spontanea, come mai hai scelto di fare la cover della
cover di “Do you wanna dance”?
I Ramones, ancora oggi, sono una
delle mie ossessioni musicali, ma a livello che posso riascoltare anche cinque
volte consegutive un loro disco. L’unica cosa che cambia è la momentanea
fissazione per un disco specifico. Un mese è Rocket To Russia, l’altro Leave
Home - questo è il momento di End of the Century. Trovo che solo la parola
“geniale” li descriva compiutamente, ma così geniali che appena aggiungi
qualcos’altro li stai già sminuendo. Geniale è la loro estetica, la loro
poetica, i loro cazzo di testi.
Non sapevo fosse una cover,
l’abbiamo scoperto quando è stato il momento di scrivere i credits del disco,
però ecco, mi sono voluto regalare l’attimo di essere i Ramones. S’invecchia,
ma si rimane dei fanatici invasati per tutta la vita.